Essere beati…

Omelia di Kurt Cardinale Koch

per la Messa commemorativa
in occasione della beatificazione di Alphonsa Maria Eppinger
nella Chiesa Santa Maria della Pietà del Campo Santo Teutonico in Vaticano,
il 29 ottobre 2018

Essere beati, perché amati da Dio

La lettura odierna dalla Lettera dell’Apostolo Paolo ai Galati si compone di soli due versi, ed è imbattibile nella sua concisione. Ma il suo significato non va sottovalutato. I due versi determinano l’autobiografia spirituale che Paolo dispiega davanti ai suoi lettori e che sfocia nella testimonianza di un rovesciamento di soggetto: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 19b-20a). Queste parole illustrano l’essenza del diventare e dell’essere cristiani: il mio Io, che vuole essere un soggetto autonomo e auto-sussistente, deve morire, deve sciogliersi in un nuovo soggetto e venire accolto nuovamente in questo Io più ampio. Chi lascia che tale rovesciamento di soggetto avvenga nel suo intimo diventa un credente, come osserva Paolo subito dopo: “E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2, 20b).   Dopo la rivoluzionante esperienza della sua conversione, Paolo ha compreso se stesso in questo modo, e così ha vissuto, come questo nuovo soggetto. Nella sua sequela si situa anche la beata che, contemplando la croce di Gesù Cristo, ha capito cosa significava far dono di sé. Poiché la beata Alphonsa Maria Eppinger si è sentita amata da Dio, è diventata strumento del suo amore, soprattutto verso i poveri, gli anziani e i malati. Come innamorata di Dio, si è fatta instancabile dispensatrice dell’amore divino, e ha posto al centro della sua vita e della sua opera l’annuncio della misericordia di Dio, vedendovi anche il compito della congregazione da lei fondata, quella delle Suore del Divino Redentore, come ha sottolineato il Cardinale Angelo Becciu nell’omelia tenuta nella cattedrale di Strasburgo il 9 settembre, in occasione della celebrazione della sua beatificazione: il suo “carisma è imperniato sulla misericordia di Dio: recarsi nella casa dei poveri per rispondere alle loro necessità di ordine spirituale e materiale mediante la pratica delle opere di misericordia.”

La beatificazione di Elisabeth Eppinger, che volle chiamarsi Alphonsa Maria in onore di Sant’Alfonso di Liguori, ci mostra in modo esemplare cosa significa essere definiti beati, cosa significa essere beati. Significa prendere Gesù Cristo come misura di tutto, essere chiamati beati da lui stesso, e dunque vivere una vicinanza particolare con lui, come emerge chiaramente dalle sue Beatitudini. Nelle Beatitudini traspare l’intimo mistero di Gesù Cristo. Esse sono, secondo le belle parole di Papa Benedetto XVI nel suo libro su Gesù di Nazaret, come “una nascosta biografia interiore di Gesù, un ritratto della sua figura” (J. Ratzinger/ Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, 98). In maniera simile, Sant’Agostino ha espresso la sua convinzione che soltanto Gesù ha realmente e pienamente realizzato il sermone della montagna, al cui centro figurano le Beatitudini.

Solo in questa prospettiva cristologica, emerge dalle Beatitudini anche il significato del discepolato nella sequela di Gesù. Il Vangelo odierno sulla sequela della croce ci ricorda che la carriera di Gesù è stata ben diversa da quella che è comune tra noi uomini. Egli non ha desiderato fare carriera verso l’alto. Egli conosce solo la carriera verso il basso, nella direzione della croce. Questa è la carriera alla quale Gesù esorta anche noi: “chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,25). Non è possibile assumere questo atteggiamento di fondo senza convertirsi a Gesù Cristo. E tale conversione presuppone che ci allontaniamo da quel vivere mondano che tende a dichiarare beati coloro che hanno successo, popolarità, benessere materiale. Ma Gesù non la pensa così. Egli dice beati proprio coloro che sono sprovvisti di mezzi e che conoscono la povertà. Indirizza persino un messaggio augurale ai perseguitati e ai disprezzati a causa del suo nome. E come poteva comportarsi diversamente colui che ha detto beate tali persone, avendo lui stesso dato la propria vita in croce e avendo predetto ai suoi discepoli un destino non migliore del suo?

La vita e la morte di Gesù mostrano in maniera esemplare cosa significhi vivere secondo lo spirito delle Beatitudini, diventando, in tal modo, beati. Ecco dunque affiorare la caratteristica essenziale di una persona beata. Un beato, una beata ricerca la stessa carriera verso il basso che ha avuto Gesù. Tale carriera è stata seguita dalla beata Alphonsa Maria in particolare tramite il servizio prestato ai poveri e agli ammalati, nei quali ella ha incontrato Dio. Ella era infatti convinta di poter vedere Dio nel prossimo. Ed ha potuto dedicarsi interamente ai più fragili, perché ha fatto suo lo spirito di Gesù Cristo, consistente essenzialmente nell’umiltà e nella povertà. La povertà rappresenta il fulcro di tutte le Beatitudini. Povertà, in ultima analisi, è sinonimo di creaturalità e mostra ciò che costituisce la vita cristiana: essere accoglienti e vivere con gratitudine, con fame di Dio e sete del suo amore. Essere poveri davanti a Dio significa essergli grati per la vita intera, significa concepire la vita come grato dono da restituire a Dio, come risposta al dono della vita fattoci dal Creatore e come risposta al dono della propria vita offertoci dal Redentore.

Ecco che ci appare, concretamente, il segreto della vita della beata Alphonsa Maria Eppinger. Ella ha sentito di essere amata da Dio, ne ha fatto l’esperienza, soprattutto attraverso la contemplazione della croce del Signore. La croce è infatti il segno più eloquente del fatto che Gesù non si è accontentato di dichiarare a parole il suo amore per gli uomini, ma ha pagato a caro prezzo questo amore, poiché nell’amore, sulla croce, ha donato il sangue del suo cuore per noi uomini e, così facendo, ci accolti in maniera definitiva. Tramite la contemplazione della croce, la beata Alphonsa Maria ha compreso profondamente ciò che significa redenzione, ovvero che noi uomini possiamo essere redenti soltanto grazie all’amore e che, dunque, l’essere redenti consiste nell’essere amati.

Si capisce allora anche il motivo più profondo per cui la beata Alphonsa Maria Eppinger ha fondato una comunità religiosa dedicata al Divino Redentore, la “Congregatio sororum a Divino Redemptore”. Come beata, ella ora vive già pienamente al cospetto del suo Redentore, e, dunque, può certamente aiutarci ad approfondire la nostra fede in Gesù Cristo come nostro Redentore e ad annunciarla agli altri con parole e con azioni. Pertanto, per esprimere la nostra gioia per la beatificazione di Alphonsa Maria Eppinger, non c’è modo migliore che dimostrare la nostra gratitudine verso Gesù Cristo, il quale ama infinitamente ogni singola persona e ci considera non come il risultato di un cieco destino, ma come individui da amare personalmente e ci invita a trasmettere questo amore agli altri uomini.

Ma noi possiamo trasmettere questo amore in maniera convincente solo se lasciamo dimorare Cristo in noi e se professiamo la stessa fede espressa da San Paolo con le seguenti parole: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me”. Questa inversione del soggetto viene sperimentata in maniera profonda soprattutto nella celebrazione eucaristica, che ci trasforma in uomini e donne eucaristici e trasforma la nostra intera vita in una preghiera eucaristica. Tutto ciò possiamo costatarlo concretamente nella vita e nella morte della beata Alphonsa Maria Eppinger, che rispecchia le parole pronunciate da San Paolo: “E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.” Amen.